Rossonero nell'anima. Undici anni d'un amore che arde senza bruciare: Mattia Bergamaschi, direttore sportivo dell'Ambrosiana (Eccellenza), li conta orgogliosamente uno per uno. Dagli albori in Promozione al sogno della Serie D, vissuta per quattro anni prima di dover metabolizzare, l'anno scorso, l'urto doloroso della retrocessione. Le sue undici varianti di Ambrosiana sono figlie dell'arte di fare tanto con poco: tempo, occhio, trasparenza, una mano sul cuore l'altra sul bilancio. Elevando il valore dei giovani, pescando dove altri non hanno visto, credendo in chi non era più ritenuto un primo attore. Una paziente tessitura, i cui frutti abbondano anche tra i candidati al Pallone d'Oro de L'Arena. Mattia, un lungo amore rossonero: undici anni di Ambrosiana sono una vita sportiva. C'è un'immagine, una frase per sintetizzarli? «Io che mi confronto con il presidente Pietropoli: è il motore, sportivo, umano ed emotivo, che dà senso al nostro rapporto. La condivisione che ho avuto con lui è totale: va oltre il campo. Senza di lui non ci sarebbe l'Ambrosiana e non ci sarebbe stata la mia storia in rossonero. Avrà sempre la mia stima e la mia gratitudine. Ho sempre avuto carta bianca per lavorare. Non capita ovunque». La lotta per il titolo d'Eccellenza, che vi vede tra i protagonisti, sembra non avere ancora una favorita: è così? «Può succedere di tutto, ma Clivense e Plateola sono un gradino avanti rispetto a noi e al Bassano. Potenzialmente, in questo momento sono avvantaggiati nella corsa al titolo». Dall'Ambrosiana è passato più di un talento tra i candidati alle tre categorie de Il Pallone d'Oro. Qual è il suo podio per la sua categoria di riferimento (oro)? «In cima alla lista metto Sergio Farias del Garda: punta giovane, completa, forte fisicamente, in grado di far reparto da solo. Ha ampi margini di miglioramento, è un profilo da tenere sotto osservazione». Seconda e terza piazza? «Nicolò Righetti del Caldiero, un ragazzo che conosco bene: è stato per anni da noi. Un grande lottatore: uno come lui lo vorrei sempre in un gruppo. Infine, dico Pietro Gecchele del Sona: difensore vero, è sempre stato un mio pallino». Restiamo in tema “aureo“: tecnici da Panchina d'Oro? «Un bel quartetto: Massimo Donati del Legnago, Alessandro Ghirigato del Team Santa Lucia, Emiliano Testi dell'Olimpia Verona. Poi cito Filippo Perinon, tornato nel nostro staff dopo l'esperienza di Lugagnano». Per quattro anni ha vissuto la D da protagonista: conosce bene la categoria. C'è una realtà veronese che può meritare in cinque anni il salto nei professionisti? «Vado sul sicuro e dico Legnago: hanno tutto per ritornare subito in C. Per restarci». Un giovane in rampa di lancio? «Guardo in casa mia: Lorenzo Prandini, centrocampista classe 2005». Torniamo alla giuria tecnica. Il podio della categoria argento? «Marastoni del San Giovanni in testa: ha una gamba d'altra categoria, merita almeno l’Eccellenza. Poi Mori del Lugagnano ed Herber dell'Audace». Un nome cult della categoria bronzo? «Daniele Begnoni del Parona: una delle ultime icone del nostro calcio». Rientra nel podio di categoria? «Assolutamente sì. In testa spazio ad un giovane nostro: Mirko Tommasi della Fumanese, può arrivare in Promozione; poi Begnoni per lo storico e il carisma, infine Mattia Magagna, da tre anni all'Olimpia Verona: centrocampista generoso, anche lui ex Ambrosiana». •.
«Farias merita l’oro Gecchele, mio pallino Begnoni è un’icona»
