La prima volta in categoria risale al 1981, l’ultima al 2018, quando le primavere toccavano quota cinquantadue. Numeri inavvicinabili anche per i più longevi. Tra i nomi di spicco degli evergreen veronesi, Giuseppe Marconcini, 55 anni, è una firma di pregio. Libero enciclopedico, più d’impostazione che di rottura, ancora oggi spinge altrove lo stop definitivo con il calcio: al martedì e al giovedì, a Zevio, dove collabora con lo staff tecnico, si allena ancora; se serve, gioca pure la partitina. È uno dei pochi a poter raccontare d’aver compiuto l’immaginario periplo del dilettantismo: ha giocato in tutte le categorie, dalla Terza all’Eccellenza, conquistando ben otto promozioni sul campo. Un primato difficilmente eguagliabile e di cui lui va molto fiero, giustamente. Perché gli ha regalato tante emozioni. «Il richiamo delle sensazioni», la prima riflessione, «è ancora troppo forte: dal profumo dell’erba al rintocco dei tacchetti degli scarpini il mio calcio è ancora una fonte d’amore e di piacere. So che è un luogo comune, ma al cuore, per fortuna, non si comanda». Trentasette anni di calcio, diluiti in sei categorie. C’è un significato profondo in questa longevità? Io coi giovani mi trovo bene, sudare al loro fianco mi dà stimoli, porta benessere. Il fisico regge e la testa serve a una cosa sola: ascoltare una passione che è resistita al cambiamento totale del calcio e, devo dire, del modo di vivere la vita. Tanti sono stati i maestri... Uno su tutti: Beniamino Vignola, l’ho avuto a San Martino. Siamo stati prima compagni, poi mi ha allenato. Quando lo vedevo calciare capivo perchè lui è arrivato in alto e noi no. In quanto a nozioni e malizie, lui è stato il mio vero insegnante, come Paolo Viviani, altro tecnico che ricordo con piacere. È rimasto nel calcio da collaboratore tecnico. Quale profilo intriga tra i tecnici veronesi? Andrea Matteoni, oggi al Mozzecane. Nei dilettanti, pochi come lui sanno capire il momento e gestire un gruppo di conseguenza. È una dote che non si studia sui libri. Poi dico Lucio Merlin e Antonio Sorgente: li ho vissuti da vicino a Zevio, meritano attenzione per spessore tecnico e umano. Il suo alter ego negli anni ruggenti? Melchiori del Tregnago, Drezza delle Officine Bra. Poi Maurizio D’Angelo, quand’era al Valdagno ci scontravamo con la mia Nova Gens. Diciamo che non si badava molto al sottile.... Giocava libero in tempi in cui era un ruolo cult. Oggi è davvero caduto in disuso? No, chi gioca a tre dietro spesso usa il libero, magari quando passa a cinque in fase difensiva. Io mi ispiravo a Scirea, Tricella e Baresi. Oggi degni eredi sono Thiago Silva del Chelsea e De Vrij dell’Inter. Il calcio moderno vive su chi sa impostare dal basso. Tra le giovani leve, c’è un profilo che ha lo spirito dei vintage? Pietro Vallani è un difensore su cui il mio Zevio punta molto. Lui lo sa, ha doti di rilievo ma deve migliorare sull’attenzione, sulle letture delle situzioni di gioco. Se fa un salto di qualità mentale ha tutto per essere un gran giocatore. Infine Elia Mainente, sempre dello Zevio. Li conosco bene e una parola per loro la spendo volentieri.•.
Marconcini forever, il libero evergreen. «Comanda il cuore»
